Silva Gallinaria

Gallinula chloropus (Linnaeus, 1758), conosciuta col nome comune di gallinella d’acqua e in napoletano come gallenella follacara o gallenella riale, è un uccello appartenente alla famiglia dei rallidi (ordine Gruiformes) caratterizzato da un piumaggio nero e da una diagnostica placca frontale rossa. È tipicamente legato agli ambienti palustri che presentino specchi d’acqua libera, ferma o con corente debole, ma è possibile trovarlo in zone umide di varia natura ed estensione.

In Campania la presenza stanziale della specie è testimoniata fin da tempi antichissimi, tanto da aver suggestionato alcuni toponimi locali. È il caso della Silva Gallinaria, una foresta di remote origini che si estendeva dall’antica città di Linternum, oggi località Patria, fino alla foce del Fiume Volturno.
Sembra che l’insolito nome dato alla foresta sia associato proprio alla specie Gallinula chloropus, un tempo abbondante nel territorio flegreo, e non riconducibile alla gallina (Gallus gallus), come alcuni autori propongono.

Inter huius amnis et Vulturni ostia protendebatur ad oram maritimam silva Gallinaria, ita secundum Varronem a gallinis, quae frequentes ibi erant, dicta. Johannes Julius Stein 1838

Le fonti storiche che parlano della Silva Gallinaria risalgono alle letture antiche, in quanto sembra corrispondere alla antiquam sylvam descritta da Virgilio nel libro VI dell’Eneide.

Foto di Serena Bonanno

Foto di Serena Bonanno

Itur in antiquam silvam, stabula alta ferarum,
procumbunt piceae, sonat icta securibus ilex
fraxineaeque trabes cuneis et fissile robur
scinditur, advolvont ingentis montibus ornos.
Virgilio Eneide VI, 179-182

«Questa selva, nella quale tali rami e tronchi tagliano, e raccolgono i Troiani, per formare il gran rogo al cadavere di Miseno, non dovette esser altra, che la vasta, annosa Selva Gallinaria tanto celebrata dagli antichi, la qual era intorno alle spiagge Cumane, ed estendevasi fino al Lago Averno. […] E mentre a tal uopo egli ancora con suoi s’impiega, al mirar la Selva si ricorda di quello la Sibilla detto gli aveva, cioè, che in essa si conservava quel ramo d’oro, per cui virtù poteasi discendere ne’ Campi Elisi» [Scotti 1775].

In passato la foresta si estendeva fino alle sponde del Lago Fusaro, in corrispondenza del quale si associava a una pineta: «Questo lato vien detto la Paneta, nome volgare derivante da Pineta, perché di pini fu un tempo coperta. Essa di fatto è in continuazione della famosa e vetustissima Selva gallinaria, la quale estendevasi da Patria (Literno) a Castel volturno, o l’antico Vulturnum; e che anche al presente conoscesi con lo stesso volgar nome Paneta» [Costa O.G. 1860].

da Nederlandsche Vogelen_Gallinula chloropus[rit]

da Nederlandsche Vogelen


Molti sono i testi di epoca romana che citano la Silva gallinaria perché si affiancava al Fusaro che era in collegamento con il mare e rivestiva sia un importante ruolo commerciale sia un importante centro di coltura dei mitili. La foresta era nota però anche per la qualità del legno che se ne ricavava; lo stesso Sesto Pompeo lo utilizzò per la costruzione delle navi della sua flotta durante le Guerre Civili. «La gran pianura ricoverta di lentisco e di pini che da Patria si estende al Volturno, era detta silva gallinaria, o gallinaria pinus. […] Di là i Romani traevano il legname per le loro flotte e colà i pirati costruirono i loro navigli e mossero con Sesto Pompeo alla conquista del Mediterraneo» [Ajello 1845].

La selva non godeva di buona fama in passato, dal momento che costituiva un sicuro rifugio per ladri e rapinatori, ed era perciò temuta dai mercanti. Fin dai tempi di Giovenale, infatti, furono stanziate delle truppe di soldati che rendessero più sicuro il passaggio attraverso la foresta.
Nel XVIII secolo la passione venatoria della famiglia reale spinse i Borbone a commissionare al Vanvitelli la costruzione di un casino di caccia sul Lago Fusaro. La Casina fu dunque sfruttata come appoggio durante le battute nella parte di selva chiamata bosco del Gavitello, in continuità con la riserva reale di Varcaturo, in località Pantano.

Dissertazione corografico-istorica delle due antiche distrutte c

tratta da Dissertazione corografico-istorica delle due antiche distrutte città Miseno e Cuma

 

Nel 1932 la zona fu segnata da un’opera di bonifica atta a circoscrivere gli ambienti palustri, con la costruzione di canali di scolo.
Dopo lo scioglimento dell’Opera Nazionale per i Combattenti, è entrata a far parte della riserva del Parco Regionale dei Campi Flegrei.
Attualmente le dimensioni della foresta appaiono drasticamente ridotte, frazionate in un’area compresa tra il Volturno e Lago Patria, denominata Pineta, ed in un’altra parte che copre il litorale tra Licola e Cuma.
Dal punto di vista vegetazionale la fitta copertura arborea della foresta, testimoniata da numerose fonti antiche, costituiva anche un confine tra il litorale cumano e la zona acquitrinosa retrostante.
Le prime modificazioni avvennero in epoca romana, quando vi fu un intenso sfruttamento del lecceto per ricavare un’ottima qualità di legno da costruzione. Il diradamento arboreo tuttavia arrecò danni alle piantagioni retrostanti la selva, in quanto bruciate dai venti provenienti dal mare che non erano più schermati dalla foresta. Per offrire una nuova protezione furono inseriti dei filari di pioppo.
Costa documenta lo stato vegetazionale della foresta ai suoi tempi come di un tipico esempio di macchia mediterranea: «Attualmente la stessa selva è folta di elci, frassini, salici, olmi e querce: e solo alla sponda prossima al mare v’à di conifere il ginepro» [Costa O.G. 1860].
Oggi conserva ancora il suo tipico aspetto di foresta mediterranea sempreverde, sebbene si osservi una diminuzione della componente arborea, in particolare per il leccio.
La selva era di grande importanza per l’avifauna, in particolare per le specie palustri che vi trovavano ristoro dopo le loro migrazioni.
Nonostante il suo grosso ridimensionamento nel corso della storia, la foresta continua oggi ad essere un’irrinunciabile zona di passaggio per gli uccelli, risultando dunque un ottimo punto di avvistamento per i naturalisti.

 

Bibliografia

  • Giovanni Battista Ajello, Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze, vol. II, Napoli, Stabilimento tipografico di Gaetano Nobile, 1845.
  • Oronzio Gabriele Costa, Del Fusaro delle sue industrie, alterazioni avvenute, de’ mezzi per allontanarle e de’ miglioramenti da introdurne, Napoli, s.e. 1860.
  • Benedetto Gravagnuolo, Carlo Vanvitelli, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2008.
  • Marcello Eusebio Scotti, Dissertazione corografico-istorica delle due antiche distrutte città Miseno e Cuma: per lo rischiaramento delle ragioni del regio fisco contra la Università di Pozzuoli, Napoli, s.l., 1775.
  • Johannes Julius Stein, De Capuae gentisque Campanorum historia antiquissima ab initium usque belli samnitici primi, Bratislava, typis Officinae Friedlaenderianae, 1838.
  • Publio Virgilio Marone, Aeneidos libri duodecim, in Idem, Opere, a cura di Carlo Carena, Torino, UTET, 1971 («Classici latini. Collezione fondata da Augusto Rostagni diretta da Italo Lana»), pp. 289-879.

 

Immagini

  • in testata: primo piano di Gallinula chloropus (foto di Weedmandan).
  • in evidenza: Gallinula chloropus (foto di Martien Uiterweerd).