Di Tommaso Campanella si è tanto narrato: si è detto che questo visionario frate domenicano fosse demente e che la sua più importante opera, La Città del Sole, fosse una fantasticheria, ripresa dalle idee di Platone e dalla sua Politeia e bloccata in una sorta di atemporalità. Tuttavia, la vita di questo singolare frate, che ben aveva inteso le leggi degli equilibri naturali, appare sorretta da una eccezionale forza di volontà e da una inesauribile lotta contro la Chiesa per la sopravvivenza di due idee: libertà e sapienza.

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Francesco Cozza, Ritratto di Tommaso Campanella, Collezione Camillo Caetani, Sermoneta (Latina)

Campanella nacque a Stilo, in Calabria, da famiglia poverissima, nel 1568, e mostrò, sin da giovanissimo, una eccezionale inclinazione per gli studi. A soli tredici anni entrò nell’ordine domenicano, vestendo il saio bianco e divenendo novizio per allontanarsi dalla realtà opprimente della sua esistenza giovanile. Tuttavia  le sue opere lo condussero presto sulla strada dell’eresia, procurandogli condanne e persecuzioni. A Napoli venne imprigionato nel 1591 per le teorie esposte nell’opera Philosophia sensibus demonstrata, in cui sosteneva le tesi del naturalismo ispirate al pensiero di Bernardino Telesio. Fu liberato nel 1592 e si iscrisse all’Università di Padova, ma nel 1595, fu nuovamente imprigionato per eresia e torturato. Campanella ritornò a Stilo nel 1597 e qui organizzò una congiura antispagnola per realizzare una repubblica teocratica della quale egli stesso sarebbe stato legislatore e capo (Firpo, 2006). Nel 1599 la congiura venne scoperta e fu portato nuovamente a Napoli per un nuovo processo. Per sfuggire alla condanna capitale si finse pazzo, anche sotto le peggiori torture, ma fu comunque condannato al carcere perpetuo e irremissibile, nel 1602, e costretto a restare in prigione per 27 anni. Non smise mai di scrivere anche rinchiuso nell’“orrida fossa” di Castel Sant’Elmo, in Castel dell’Ovo e in Castel Nuovo. Nel 1626 fu liberato e trasferito al Sant’Uffizio di Roma, ma nel 1633, a Napoli, fu scoperta una congiura contro il viceré organizzata da Tommaso Pignatelli, suo discepolo. Campanella non si sentì più al sicuro a Roma e si rifugiò in Francia, accolto da Luigi XIII, dove, continuando i suoi studi, attese la pubblicazione delle sue opere. Qui morì il 21 maggio del 1639, di una morte preannunciata da segni avversi.

Si è soliti collocare Tommaso Campanella nel novero dei filosofi appartenenti al naturalismo rinascimentale, una corrente del pensiero occidentale in cui l’uomo si percepisce come parte del mondo, si distingue da esso per imporre una propria originalità, ma al contempo si radica nella natura, riconoscendola come proprio dominio.

L’indagine naturale è elemento primario e fondamentale nella filosofia del Rinascimento. In essa si possono riconoscere tre fasi principali: la magia, la filosofia della natura e la scienza.

Il  primo Rinascimento è ideatore di una visione umanistica che decanta la libertà e la dignità dell’uomo, ma si assiste comunque a una ripresa del naturalismo come riflessione autonoma sulla natura, anticipata, ad esempio, dal Poliziano, o dal pensiero amoroso del Boccaccio. Nel 1500 l’indagine naturale è una chiave indispensabile per l’attuazione dei progetti umani nel mondo; in altre parole, essa rappresenta la rinascita dell’uomo come essere inserito nella natura.

Questo movimento filosofico considera l’uomo l’artefice della natura (homo faber) e, di conseguenza, punta a uno studio naturalistico del mondo. Ma anche il neoplatonismo è incline allo studio della natura, dando origine alla filosofia naturale, ma predilige un’altra via, quella della ‘pratica’ della magia: quest’arte cerca formule e procedimenti comprensibili da adoperare come chiave di decifrazione dei misteri naturali, donando, in questo modo, all’uomo un potere sconfinato sulla natura.

Come nei primi filosofi, il mondo viene interpretato eliminando la fittizia contrapposizione tra spirito e materia: la natura è nuovamente intesa come parte di un unico organismo vivente, nel quale il soffio vivificatore non opera assemblando parti più piccole fino ad arrivare agli organismi più complessi (come prevedeva l’atomismo). Al contrario di questa visione, la modificazione della natura è resa possibile da un principio intelligente, precedente all’esistenza della materia.

In questo quadro filosofico, Tommaso Campanella fu portatore di un sensismo cosmico, visione che prevede una natura senziente, ovvero capace di percepire, in quanto animata dall’Idea che la rende viva.

La magia rinascimentale è caratterizzata dall’universale animazione della natura, mossa da forze simili a quelle che agiscono nell’uomo, armonizzate da un ‘accordo’ universale. Si apre quindi all’uomo la possibilità di penetrare nei più segreti recessi della natura e di riuscire a dominarne le forze mediante gli incantesimi. La magia diviene ricerca di formule che fungano da chiave d’interpretazione per i misteri naturali.

Nella filosofia naturale, che già fa la sua comparsa in alcuni degli stessi sostenitori della magia, affermandosi per la prima volta in Bernardino Telesio, viene abbandonato quest’ultimo presupposto. La natura è sempre considerata una realtà vivente, ma sostenuta da specifici principî; la scoperta di questi principî diventa compito della ricerca filosofica. È chiaro che la filosofia della natura è destinata a rompere i ponti con la magia e con l’aristotelismo, dal momento che si propone di interpretare la natura con la natura aprendo la porta alla vera e propria indagine scientifica.

La scienza è, perciò, il risultato ultimo del naturalismo del Rinascimento. La riduzione naturalistica viene condotta al suo punto estremo: la natura non ha niente a che fare con l’uomo, né con l’anima, né con la vita; è un insieme di cose che si muovono meccanicamente; e le leggi che regolano il meccanismo sono quelle della matematica. La scienza riduce quindi la natura a pura oggettività misurabile, la stacca dall’uomo e la rende estranea alla sua costituzione e ai suoi interessi; solo così la apre veramente al suo dominio per farne il regnum hominis. Si è, perciò, conclusa l’opera di separazione della magia dalla ricerca scientifica, ma questa visione distaccata dalla magia non fu chiaramente il fondamento della filosofia e degli studi di Fra’ Tommaso Campanella, né quello di Giordano Bruno.

Il naturalismo di Giordano Bruno è stato definito come religione dionisiaca dell’infinito, mentre si può dire che il naturalismo di Campanella sia, invece, il fondamento di una teologia politica o di una politica teologica.

Philosophia sensibus demonstrata, 1591- frontespizio (Archivio ILIESI CNR)

Philosophia sensibus demonstrata, 1591 – frontespizio (Archivio ILIESI CNR)

Nell’opera Philosophia sensibus demonstrata, pubblicata a Napoli nel 1591, Campanella ribadì la sua adesione al naturalismo di Telesio, inquadrato però in una cornice neoplatonica, per la quale le leggi della natura non mantengono più la loro indipendenza, come in Telesio, ma sono spiegate dall’azione creatrice divina, dalla quale deriva anche l’ordine che governa l’universo: «chi regola la natura è quel glorioso Iddio, sapientissimo artefice, che ha provveduto in modo da non reprimere le forze della natura, nella quale tuttavia agisce con misura» [Tommaso Campanella, Philosophia sensibus demonstrata].

Napoli, e il suo ambiente filosofico, naturalistico e magico della seconda metà del 1500, spinsero Campanella, allora ospite dei marchesi del Tufo, ad approfondire gli interessi neoplatonici e scientifici, che in quel periodo erano strettamente congiunti agli studi alchemici e magici: «scrissi due opere, l’una del senso, l’altra della investigazione delle cose. A scrivere il libro De sensu rerum mi spinse una disputa avuta prima in pubblico, poi in privato con Giovanni Battista Della Porta, lo stesso che scrisse la Fisiognomica, il quale sosteneva che della simpatia e dell’antipatia non si può rendere ragione; disputa con lui avuta appunto quando esaminavamo insieme il suo libro già stampato. Scrissi poi il De investigatione rerum, perché mi pareva che i peripatetici ed i platonici portassero i giovani per una via larga ma non diritta alla ricerca della verità» [Tommaso Campanella, Syntagma de libris propriis, p. 14].

Syntagma de libris propriis, 1642 – frontespizio (Archivio ILIESI CNR)

Syntagma de libris propriis, 1642 – frontespizio (Archivio ILIESI CNR)

Il De sensu rerum et magia fu dedicato al granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici nel 1592, ma fu sequestrato dal Sant’Uffizio, poi riscritto in italiano nel 1604 e, infine, tradotto in latino nel 1609, per essere pubblicato finalmente nel 1620, a Francoforte. Campanella rimproverava a Democrito e ai materialisti di voler far derivare l’ordine del mondo dall’azione degli atomi, che non hanno sensibilità, e agli aristotelici la mancata iniziativa divina nella costituzione della natura.

Secondo Campanella, i tre principi, ovvero materia, caldo e freddo, dei quali è formata la natura, sono frutto della creazione divina:

«Dio prima fece lo spazio, composto pure di Potenza, Sapienza e Amore […] e dentro a quello pose la materia, che è la mole corporea […] Nella materia poi Dio seminò due principi maschi, cioè attivi, il caldo e il freddo, perché la materia e lo spazio sono femmine, principi passivi. E questi maschi, da codesta materia divisa, combattendo, formano due elementi, cielo e terra, che combattendo tra loro, dalla loro virtù fatta languida nascono i secondi enti, avendo per guida della generazione le tre influenze, la Necessità, il Fato e l’Armonia, che portano l’Idea» [Tommaso Campanella, Poesie filosofiche, Madrigale 6].

Se si considera ogni cosa in una visione olistica e organica ci si rende conto che nulla muore davvero: «muore il pane e si fa chilo, questo muore e si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervi, ossa, spirito, seme e patisce varie morti e vite, dolori e piaceri» [Tommaso Campanella, De sensu rerum et magia, II, 26].

Campanella, guardando la natura in questa visione, dà ad ogni elemento naturale la sensibilità e un sistema di percezione proporzionato alla sua capacità di conoscere. Se gli animali sentono è segno che essi sentono gli elementi o i principî dai quali sono costituiti.

«Or se gli animali, per consenso universale, hanno sentimento, e da niente il senso non nasce, è forza dire che sentano gli elementi, lor cause, e tutte, perché quel che ha l’uno all’altro convenire si mostrarà. Sente dunque il cielo e la terra e il mondo, e stan gli animali dentro a loro come i vermi dentro il ventre umano, che ignorano il senso dell’uomo, perché è sproporzionato alla loro conoscenza picciola.» [Ib., I, 1].

De Sensu Rerum et Magia, 1620 – frontespizio (Archivio ILIESI CNR)

De Sensu Rerum et Magia, 1620 – frontespizio (Archivio ILIESI CNR)


Ma da elementi semplici e privi di spirito non può generarsi un organismo complesso, quindi esiste una forza (divina) che consente l’animazione universale, la vita e la percezione del mondo circostante.

«Ma dicono: il sole non è animale né pianta, e fa animali e piante; et è sottile e mobile e bianco, e pur indura e addensa il luto, e immobilita, e annegrisce gli Etiopi sotto il Cancro e Capricorno dove più dimora; e il fuoco riscalda, e la fredda neve scalda la mano e ingrassa la terra; e il salnitro caldo le bevande affredda; e la paura, non fredda, affredda l’uomo; e il vivo dà morte all’altro vivo; e molti simili producono li dissimili; e ogni cosa si fa di quello ch’essa non è. Dunque di cose non senzienti le sensitive nascer ponno.
Rispondo che le cose che tra cielo e terra si fanno ciò che hanno ricevono da questi due elementi. Però l’animale non è sole, ma terra in cui il sole, operando, spirito produsse fra durezze, di cui esalar non potendo organizzò la mole e fece atta alla vita loro, come si dirà poi. Talché la pianta e l’animale hanno spirito, calore, sottilezza e moto dal sole, e materia dalla terra con l’arte del senso solare figurata; ma non hanno cosa, però, che non sia nelle cause, benché non in quel modo ch’è nelle cause.» [Ib., I, 2].

Ma come si riuniscono o si separano gli elementi naturali quando vengono a generarsi gli organismi e gli ambienti terrestri? A questo punto, per l’Autore, interviene un consenso che le cose naturali hanno fra loro e, tramite questo consenso, l’anima del mondo, che è uno strumento divino, le dispone tutte a un unico fine e le lega insieme, nonostante le loro dissomiglianze.

Sentono dunque tutti. Di più il fuoco, vincendo parte di terra, l’assottiglia e se ne va in alto al suo consimile cielo focoso, e la terra, posta in su, con impeto al basso fugge; e come ogni animale fugge i contrarii e va alli suoi simili e alla sua tana, e gli uomini con gli uomini vivono, lupi con lupi, pesci con pesci, il medesimo si vede tra li corpi magni. Tutti dunque sentono; altrimenti il mondo sarebbe caos, perché il fuoco non andaria in alto, né l’acqua al mare, né le pietre caderiano in giù, ma ogni cosa dove fusse posta si rimanerebbe, non sentendo la sua destruzione tra contrarii, né la conservazione tra simili. Tommaso Campanella, De sensu rerum et magia, I, 5

Sembra che Campanella, quindi, in questo passaggio, prepari delle premesse per alcuni dei contemporanei temi affrontati dalla biologia della conservazione: l’accoppiamento selettivo, l’insorgenza di barriere riproduttive tra specie diverse e l’importanza dei comportamenti innati ai fini adattativi.

La sensibilità lega tutti gli esseri animati, altrimenti, se essi non fossero legati, tutto il mondo sarebbe il dominio del caos. Ma questa sensibilità determina altre forze, tra cui la conservazione delle somiglianze e delle differenze, quindi quella forza che Campanella chiama “conservazione tra simili”, fondamentale per l’affermazione dell’ordine nel mondo.

«Dunque, veracissimo argomento del loro senso è l’ordine del mondo, e il producimento delle cose, e la controversia e pugna similissima a quella degli animali senzienti. Anzi bisogna dire che gli animali dalli corpi primi abbiano questa virtù di sentire; e gran bestialità è d’Averroè che chiama gli elementi corpi imperfetti, e queste misture di essi, deboli e mezzi consumati, perfetti, perché imperfetti sono, non avendo le qualità soprane, come gli elementi, e tanto più se son misti di cose contrarie repugnanti tra loro, onde interna infelicità et esterna sentono.» [Ib., I, 5].

Interessante, a questo punto, è un altro argomento introdotto dall’Autore: il ruolo che l’istinto animale gioca nella conservazione dei simili. Nella sua visione, esso è un palese esempio di impulso derivante da un’unica natura sensibile che, organicamente, mira alla conservazione del suo equilibrio, preservando ogni sua parte.

«Molti s’affaticano provare che ci sia istinto senza ragione e senza senso, poiché la calamita tira lo stupido insensato ferro, et essa sempre al polo si volge con mirabile istinto; e la donnola per naturale istinto, contra sua voglia, si mette in bocca al rospo et è divorata; e il tauro, quando fugge, sotto la ficaia s’affrena da sé, arrivando ad incontrarsi; e i delfini amano gli uomini; e molti animali predicono le pioggie e venti senza esser profeti; e il gallo, piccolo animale, spaventa il leone; e altri esempi tali adducono. Alli quali rispondo che tutti questi esempi additano il senso e consenso di tutte le nature, e che esso istinto sia di senziente natura impulso.» [Ib., I, 8].

Inoltre, riavvicinandosi al pensiero filosofico dei primi sapienti ellenici, per i quali la sostanza primordiale era materiale e vivente, l’Autore esprime una visione in cui la materia ha in se stessa animazione, movimento e sensibilità come forze dinamiche, affermando, quindi, una forma di ilozoismo.

Il regno animale assume per Campanella una particolare importanza nella conoscenza, in una visione perfettamente regolata e ordinata dell’esperienza umana, motivo per cui questo regno viene disposto in uno dei gironi della Città del Sole, in cui sette mura dividono la città in sei gironi, ognuno dei quali è designato per rappresentare una diversa sfera del sapere.

Civitas Solis, 1623 – frontespizio (Archivio ILIESI CNR)

Civitas Solis, 1623 – frontespizio (Archivio ILIESI CNR)

Nel primo girone si trova una minuziosa cartina geografica in cui sono rappresentati i riti, le diverse tradizioni e le lingue di tutti i popoli e nel quale possono rivelarsi all’osservatore anche tutte le conoscenze geometriche e matematiche. Nel secondo girone sono elencate le principali nozioni di chimica, geologia e la descrizione geografica dei luoghi della terra. Poi, nel terzo, sono racchiuse le informazioni che riguardano la fauna appartenente al mondo marino e al mondo vegetale e, in più, la descrizione di tutte le erbe e delle loro proprietà curative. Nel quarto girone sono descritte tutte le specie di uccelli, rettili e insetti. Nel quinto compaiono, invece, tutti gli animali terrestri, come per esempio i mammiferi. Nel sesto girone, infine, si trovano elencate le arti umane inerenti alla meccanica e sono indicati gli inventori, le arti, le nozioni riguardanti le armi e le scienze fisiche.

Per Campanella la conoscenza è possibile soltanto grazie all’azione diretta o indiretta dei sensi e non esiste una conoscenza razionale intellettiva che non derivi da quella intuitiva.  L’uomo deve, quindi, percepire se stesso come parte della stessa natura che deve conoscere, e per farlo deve usare la sua sensibilità.

Tutti gli esseri che sentono sono confinati nell’immediatezza del sensus inditus – cioè del senso innato – e del proprio modo di conoscere – o cognitio sui -, legato alla propria sensibilità e al proprio sistema di percezione, ma, avendo ricevuto dalla divinità la capacità di conservarsi, di conoscere la propria funzione e la propria natura, manifestano le primalitates – o principi – divine (cioè Potentia, Sapientia, Amor). L’uomo, però, si distingue dagli altri esseri naturali dal momento che, nella sua natura, accoglie e manifesta una spinta verso l’intuizione intellettuale che si fissa nella mente dei singoli uomini. Tale facoltà dell’uomo, tuttavia, non lo separa dalla visione unitaria del cosmo.

Se la Sapienza permette alle cose naturali di conoscere il loro fato, è l’Amore a infondere l’Armonia nella natura ed è compito del naturalista, del mago e del filosofo comprendere tale Armonia per tendere alla divinità e farsi simile ad essa. «Beato chi legge nel libro della natura, e impara quello che le cose sono, da esso e non dal proprio capriccio, e impara così l’arte e il governo divino, facendosi di conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio» [Tommaso Campanella, De sensu rerum et magia, II, 26].

Nello stesso tempo, giungendo a tale conoscenza, l’uomo si rende capace di vivere in Armonia con la divinità, conservando la perfezione di tutto ciò che è e che, in quanto perfetto e capace di sensibilità, è degno di essere considerato sacro e quindi di essere conservato, ad ogni costo.
 

Bibliografia

  • Tommaso Campanella, Del senso delle cose e della magia, a cura di Filiberto Walter Lupi, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2003.
  • Tommaso Campanella, De sensu rerum et magia, Del senso delle cose, trad. Archivio ILIESI – CNR.
  • Tommaso Campanella, Poesie filosofiche, Archivio ILIESI – CNR.
  • Tommaso Campanella, La Città del Sole, a cura di Piero Di Vona e Cristina Coccia, Edizioni di Ar, Padova, 2014.
  • Tommaso Campanella, La Città del Sole, a cura di Luigi Firpo, Laterza, Roma-Bari, 2006.

 

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