I guardiani della notte: il gufo e la civetta
In molte culture tradizionali, da Oriente a Occidente, l’essere alato ha da sempre raccontato un legame con il divino.
Ogni parte anatomica degli uccelli, ogni caratteristica legata al verso ha evocato simboli celesti. In particolar modo le ali rappresentano nella tradizione cristiana la spiritualizzazione, la protezione del creato, il volo verso l’alto; il verso, invece, il linguaggio che «stabilisce la comunicazione con gli stati superiori dell’essere» [Guenon 1975].
Ciò nonostante il verso del gufo e della civetta, come altri uccelli notturni, nelle tradizioni popolari occidentali ha ispirato simboli negativi, al punto da demonizzarli.
Come tutti gli animali totemici, la civetta e il gufo possono essere il simbolo di una singola persona oppure di intere popolazioni. In alcune tradizioni l’associazione con il proprio totem avviene durante una cerimonia d’iniziazione che lega lo spirito dell’uomo allo spirito dell’animale, tanto da assumerne gli aspetti e gli atteggiamenti.
Gli strigidi, famiglia a cui appartengono il gufo e la civetta, prendono il loro nome dal latino strix, da cui è derivato in italiano il nome strega. Infatti si narra che le streghe assumessero dapprima, in epoca romana, fattezze di uccelli notturni con testa grossa, il becco e gli artigli da rapace per una magia; successivamente, nel Medioevo, assunsero fattezze umane di donne brutte che partecipavano ai sabba per unirsi ai demoni.
Selvaggio mio, per queste oscure grottole
Filomena né Progne vi si vedono;
ma meste strigi et importune nottole.Sannazaro Arcadia
La fama di questi rapaci notturni è cambiata nel corso della storia in base alle popolazioni. Noi occidentali la civetta l’abbiamo considerata compagna delle streghe, ma per quanto riguarda i rapaci notturni e le tradizioni a essi legate c’è un po’ di confusione, forse dovuta alla somiglianza che queste specie hanno tra loro e il mancato riconoscimento negli avvistamenti notturni. Entrambe le specie hanno la testa un po’ più grande rispetto al resto del corpo, occhi molto gradi e dal colore molto vivace, becco adunco, zampe tipiche dei rapaci e, per i non esperti, un verso poco distinguibile. Proprio per questo hanno a volte assunto il termine generico di nottola oppure, in altri casi, il termine gufo e civetta sono stati utilizzati indistintamente.
Gli egizi associavano la figura della civetta alla morte, utilizzando la sua figura nell’alfabeto geroglifico per rappresentare l’anima che abbandonava il corpo.
Nella mitologia greca, invece, la civetta è considerata simbolo della sapienza, dell’intelligenza razionale capace di discernere laddove altri scorgono solo ombre e oscurità tanto che Atena, dea della saggezza, è rappresentata spesso con una civetta posata sul palmo di una mano. Le monete ateniesi chiamate civette avevano raffigurato su un lato la dea Atena, sull’altra faccia appunto la civetta. Inoltre il suo nome greco è glàux, “la rilucente” e per questo paragonata alla luna che brilla di luce riflessa. Da allora, la presenza nella notte della civetta è associata al vegliare del saggio e il suo verso stridente non rappresenta più un presagio funesto ma l’avvertimento all’uomo della brevità della vita.
In epoca romana la civetta era considerata portatrice di malaugurio e secondo le leggende si nutriva di sangue e carne umana. Nella letteratura latina si racconta che donne esperte di magia si trasformassero anche in gufi.
Così come in altre superstizioni popolari, anche a Napoli quando si sentiva stridere una civetta si diceva: “È buono addo’ canta e malamente addo’ tremete (guarda)” oppure “Biato a do’ posa e maro’ (guai) a do’ canta”. Il suo stridere era, infatti, associato ai lamenti delle anime dei morti così come riportato anche da vari autori della letteratura classica. Queste credenze popolari hanno fatto sí che la civetta fosse la specie più perseguitata per la sua fama di uccello del malaugurio.
Altra espressione rimasta nella tradizione napoletana è: “Pare’ ’a Coccovaja ’e Puorto” (letteralmente: sembrare la civetta del porto; in senso traslato: donne particolarmente brutte e sgraziate). Questo detto prende origine dalla famosa Fontana degli Incanti o della Cuccuvaja che fu costruita nella metà del XVI sec. per volere di don Pedro di Toledo e all’epoca situata in Piazza di Porto o dell’Olmo (attuale Piazza Bovio), antistante la zona del porto. Ciò che resta di questa fontana è oggi in Piazza Salvatore di Giacomo a Posillipo, ma le sue condizioni sono indegne. È chiamata Fontana della Cuccuvaja perché vi era scolpita la statua di una civetta e Fontana degli Incanti poiché una leggenda narra che una strega utilizzò l’acqua di quella fontana per preparare una pozione che avrebbe fatto innamorare una giovane popolana di un nobile spagnolo; altri raccontano invece che i mercanti e i venditori “incantavano” le proprie merci.
La più antica testimonianza del legame tra il gufo e l’uomo risale all’epoca preistorica nella grotta di Chauvet dove tra le incisioni di vari animali c’è anche quella dei gufi.
Il gufo è riconosciuto per antonomasia il rapace che vede nell’oscurità e diventa attivo di notte quando buona parte dei viventi dormono. Così come la civetta, anche il gufo, abile cacciatore nella notte, ha un volo molto silenzioso ma il suo verso è capace di squarciare la quiete notturna. Nella tradizione magica, è simbolo di chiaroveggenza, saggezza, conoscenza, consapevolezza ed è elevato a simbolo di colui che vede oltre il velo dell’oscurità. Associato a maghi e indovini, per la sua duplice natura il suo potere è utilizzabile sia per scopi positivi sia negativi.
In epoca romana le immagini dei gufi erano usate per combattere e respingere il malocchio.
In varie culture incarna la ricerca spirituale, la meditazione sulla morte e il silenzio del mistero del mondo. Nella cultura sciamana il totem del gufo rappresenta la profondità della realtà psichica, la guida per ritrovare la luce della saggezza ed era impiegato anche nella ruota della medicina.
et uncta turpis ova ranae sanguine, plumamque nocturnae strigis Orazio Epodi V
Per la sua ambivalenza simbolica, il gufo ha anche evocato l’emblema del traditore che prepara nell’ombra oscuri progetti. Durante il periodo del Rinascimento l’emblema del genio cattivo era raffigurato con un gufo in mano.
Oggi il gufo e la civetta sono utilizzati come amuleti che aiutano a riconoscere il cammino, interpretare messaggi apparentemente incomprensibili e proteggere dall’eccessivo attaccamento ai beni materiali.
Bibliografia
- Alfredo Cattabiani, Volario, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2010.
- Alfredo Cattabiani, Calendario, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2014.
- Antonio Colombo, La fontana degli incanti, «Napoli nobilissima», VII (1906), 8 pp. 113-115.
- René Guénon, Simboli della Scienza sacra, Milano, Adelphi, 1975.
- Jacopo Sannazaro, Arcadia, Venezia, Giovan Andrea Valvassori, 1559.
Immagini
- in testata: foto di Abariltur.
- in evidenza: Athene noctua (foto di Trebol-a – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Athene_noctua_(portrait).jpg).