Sacra, magnifica, rara: la porpora

La porpora è una sostanza colorante che deriva da un liquido bianco-giallastro secreto dalla ghiandola del mantello di alcuni gasteropodi marini contenente un cromogeno incolore (purpurina) che sotto l’azione di un enzima (purpurasi) dà per ossidazione il prodotto colorato.
Le specie che forniscono il colore più puro appartengono alla famiglia Muricidae, e sono: Hexaplex trunculus (Linnaeus, 1758), Bolinus brandaris (Linnaeus, 1758), Stramonita haemastoma (Linnaeus, 1767), Ocenebra erinaceus (Linnaeus, 1758) e Nucella lapillus (Linnaeus, 1758).
Nonostante la porpora si estraesse dall’epoca dei Fenici, solo nel 1858 lo zoologo francese Henry de Lacaze-Duthiers identificò l’organo deputato alla produzione della porpora: questa ghiandola dalla forma di un pisello si trova nella superficie interna del mantello nei pressi del retto e secerne una sostanza vischiosa, densa, bianco-giallastra, di odore nauseante, probabilmente utilizzata dal mollusco per difendersi dai predatori.
La purpurina da quando è emessa passa per varie tinte, gialla, verde, violacea, finché assume il colore definitivo. Cataldo Antonio Atenisio Carducci, il commentatore delle Delizie Tarantine, scrive: «Il colore estratto dalla porpora era d’un rosso bruno, che tirava nel color del sangue rappreso» (Carducci 1771).

la molecola di porporina

la molecola di porporina (da wikipedia)

 

In Italiano per color porpora s’intende un rosso cupo e non un viola, come spesso impropriamente tradotto dalla parola inglese purple. Sebbene purple sia il nome del pigmento estratto dal murice e originariamente si riferisse al color porpora, oggi ha assunto un significato differente che corrisponde in italiano al colore “viola”; il termine inglese violet, invece, indica il colore violetto corrispondente a una lunghezza d’onda di circa 380-450 nm.

Coordinate del colore porpora

Nell’antichità, a partire dai Fenici, la porpora rappresentava un colorante molto raro e pregiato; si trattava infatti di una tintura indelebile e data la scarsa quantità di porpora estratta da ogni mollusco, occorrevano migliaia di individui per la tintura di una singola tunica! L’industria della porpora ebbe una tale importanza economica e storica, che con il colore del prodotto (lat. phoinix ‘rosso’, dal gr. φοῖνιξ) si connotò il nome stesso dei Fenici (Astour 1965), inoltre «La miglior porpora dell’Asia è a Tiro, dell’Africa a Meninge e lungo la costa oceanica dei Getuli; la migliore dell’Europa in Laconia» (Plinio IX, 127).
La scoperta della porpora è narrata in un mito: il dio fenicio Melquart (equivalente al greco Eracle), invaghitosi della ninfa Tiro, inventò il procedimento di estrazione della porpora per tingere con questo meraviglioso colore una veste e conquistarla.
L’estrazione del colorante avveniva con un processo lungo e che esigeva grande abilità. Dopo avere pescato i molluschi, forse con nasse, erano trasferiti in ampie vasche, infrante le conchiglie e lasciati a macerare esposti all’aria, in modo da provocare l’ossidazione del leuco-colorante, facendolo diventare di un viola rossastro. A questo punto si diluiva il colore con acqua di mare, secondo l’intensità della gradazione desiderata, dal rosso cupo al violetto. Una volta ottenuto il colorante vi s’imbeveva la stoffa, generalmente lana oppure lino, prima ancora di tesserla. I tessuti più costosi erano quelle la cui lana era stata passata per due bagni consecutivi: la dibapha di Tiro (dal gr. δίς ‘due volte’ e βάπτω ‘tingo’) «che nel prezzo giunse ad eguagliar l’oro» (Carducci 1771).

Purpurae vivunt annis plurimum septenis Plinio IX,125

Gli scavi hanno messo alla luce, alla periferia di centri urbani fenici, enormi cumuli di gusci infranti, i resti della lavorazione della porpora, che avveniva fuori degli abitati per il cattivo odore emanato dal prodotto durante le prime fasi della lavorazione. Nella città di Taranto ancora fino alla prima meta del XX sec., si ricordava una collina detta Monte dei quecciuli formata dai gusci dei molluschi risultanti dalla lavorazione della porpora.
Per tutto il mondo classico, la porpora e le stoffe così tinte rimasero connesse con l’immagine del lusso e del potere civile e religioso, di cui furono il simbolo. Nella prima età imperiale romana la porpora, anche per i suoi altissimi prezzi, era riservata agli imperatori e alle alte cariche religiose, militari e di governo: una balza di porpora (clavus) sovrapposta alla tunica indicava l’appartenenza, se stretta (angusticlavium), all’ordo equester, se larga (laticlavium), all’ordo senatorius. Anche i magistrati, come distinzione del loro ufficio, portavano una striscia di porpora sulla toga.

Da Ricreatione dell’occhio e della mente nell’osservatione delle chiocciole (Buonanni 1681)

Da Ricreatione dell’occhio e della mente nell’osservatione delle chiocciole (Buonanni, 1681)

Il suo fascino rimase intatto per secoli, fino alle ultime fasi del mondo antico quando ormai era riservata solo all’imperatore e alla sua famiglia. L’imperatore d’Oriente Teodosio II (401-450 d.C.), come si legge nel suo famoso codice, stabilì l’invio di funzionari presso le manifatture di porpora fenicie per vigilare contro ogni frode: «Ogni persona, di qualsiasi sesso, rango, mestiere, professione o famiglia dovrà astenersi dal possedere quel genere di prodotto, che è riservato solo all’Imperatore e alla sua Famiglia» (Pedrazzi, 2011)
Sin da tempi antichissimi la Chiesa ha utilizzato la porpora quale colore sacro e per identificare i suoi cardinali. Ciò si riconduce alla passione di Cristo, quando Egli fu rivestito di un mantello di tale colore: in tal caso il colore rosso voleva evocare, per derisione, la porpora regale. L’abito corale dei cardinali è di color rosso porpora, da cui il nome di “porporati”, a simboleggiare la disponibilità anche al martirio.
L’utilizzo della porpora ha avuto seguito nel corso dei secoli fin nel Regno di Napoli (sec. XIII-XIX). Qui i murici di dimensioni medio-piccole erano solitamente chiamati sconciglio, inclusi quelli utilizzati per la produzione della porpora. In particolare si distinguevano: lo sconciglio gentile (Bolinus brandaris), così ironicamente chiamato a causa delle sue spine pungenti; lo sconciglio tufaretta (Hexaplex trunculus); la tufarella (Stramonita haemastoma) (Soppelsa, 2016).
Oltre che nella tintura delle stoffe, la porpora era utilizzata anche nella pittura e nell’arte libraria: il residuo del colorante rimasto nelle caldaie dopo la tintura delle stoffe era spesso utilizzato come colore per la pittura nell’antichità classica e per tingere le pergamene dei codici, opportunamente fissato su farina fossile.
Oggi la porpora è caduta in disuso presso i popoli del bacino del Mediterraneo, mentre è ancora usata da qualche popolazione indigena dell’Oriente asiatico.

 

Bibliografia

  • Michael C. Astour, The Origin of the Term “Canaan”, “Phoenician”, and “Purple”, «Journal of Near Eastern Studies», vol. 24 (1965), pp. 346-350.
  • Filippo Buonanni, Ricreatione dell’occhio e della mente nell’osservation’ delle chiocciole proposta a’ curiosi delle opere della natura, Roma, Varese, 1681.
  • Filippo Buonanni, Rerum naturalium historia, Roma, Ex Typographio Zempelliano, 1782.
  • Cataldo Antonio Atenisio Carducci, Delle delizie tarantine libri IV. Opera postuma di Tommaso Niccolò d’Aquino patrizio della città di Taranto […], Napoli, Stamperia Raimondiana, 1771.
  • Simona Fantetti – Claudia Petracchi, Il dizionario dei colori: nomi e valori in quadricromia, Bologna, Zanichelli, 2001.
  • Francesco Ghiretti, La riscoperta della porpora ad opera di Bartolomeo Bizio, in La Porpora, realtà e immaginario di un colore simbolico, a cura di Oddone Longo, Atti del convegno di studio Venezia, 24 e 25 ottobre 1996, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, 1998, pp. 17-27.
  • Diego Lanza – Mario Vegetti, Opere Biologiche di Aristotele, Torino, Unione Tipografico-editrice Torinese, 1971.
  • Tatiana Pedrazzi, La lavorazione della porpora e dei tessuti, in I Fenici in Algeria. Le vie del commercio tra il Mediterraneo e l’Africa Nera, a cura di Lorenza-Ilia Manfredi e Amel Soltani, Bologna, BraDypUS Communicating Cultural Heritage, 2011.
  • Gaio Plinio Secondo, Storia naturale, vol. II: Antropologia e zoologia (Libri 7-11), a cura di Alberto Borghini, Elena Giannarelli, Arnaldo Marcone e Giuliano Ranucci, Torino, Einaudi, 1983 («I Millenni»).

 

Immagini

  • in testata: le specie di gasteropodi usate per la produzione della porpora (foto di H. Zell).
  • in evidenza: Hexaplex trunculus (foto di Hans Hillewaert).