Agnano e il lago scomparso

Attorno alla città di Napoli si articola un immenso campo vulcanico, ricco di crateri e di rilievi dalle forme coniche, paralleli alla linea di costa, che fanno dunque da ripartitore naturale delle acque meteoriche sul territorio. La Conca di Agnano è uno di questi crateri, situato tra quello degli Astroni e la Solfatara, e appartenente al sistema dei Campi Flegrei. Per la particolare conformazione geologica del territorio partenopeo le acque piovane trovano scolo direttamente lungo il litorale, ma se incontrano avvallamenti vi si raccolgono formando veri e propri bacini. Sembra che questo sia ciò che si è verificato ad Agnano per la formazione dell’omonimo lago.

Il lago di Agnano (Carta geografica N° 14 Napoli, Ischia, Procida – Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, 1794)

Il lago di Agnano (Carta geografica N° 14 Napoli, Ischia, Procida – Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, 1794)


 
La data di origine è ignota, si fa risalire la formazione del bacino tra X e XI secolo, supponendo dunque che la sua esistenza abbia occupato circa otto secoli. La superficie era di 924020 m2 e la profondità media annuale di 12 m, secondo quanto desunto da una proposta di legge del 15 febbraio 1865 presentata dal Ministro d’Agricoltura, Industria e Commercio. La costituzione del lago cambiò l’assetto geologico del territorio, sommergendo parte della piana dove era stato costruito in epoca romana un grande edificio termale; il complesso, non più alimentato dai soffioni, andò in rovina, ma l’attività termale persistette lungo i fianchi della collina, dove fu stabilita la struttura detta “sudatorio di Agnano” o “stufe di San Germano”. Attraverso dei sentieri che si ramificavano intorno al lago era inoltre possibile raggiungere una serie di grotte in cui si assisteva al fenomeno vulcanico delle mofete, emissioni calde di gas di acido carbonico; tra esse era nota la Grotta del Cane.

La grotta del Cane e sulla sinistra il lago di Agnano (acquaforte aquerellata tratta da Sieur de Rogissart, Les délices de l'Italie [...], Volume 3, Leida, Pierre Vander Aa, 1706).

La grotta del Cane e sulla sinistra il lago di Agnano (acquaforte aquerellata tratta da Sieur de Rogissart, Les délices de l’Italie […], Vol. III, Leida, Pierre Vander Aa, 1706).


 
Le acque del lago apparivano torbide e melmose, tanto che si pensava non ci fosse forma di vita nei suoi flutti. Al contrario è stata riportata da Oronzio Gabriele Costa la presenza di pesci quali la tinca Tinca tinca (Linnaeus, 1758) e di numerosi crostacei. Presenti sul luogo anche uccelli acquatici, come la folaga Fulica atra (Linnaeus, 1758), che alimentavano le attività venatorie.

folleche Agnano e ranonchie Sebeto Pagano, 1746

L’origine del nome è controversa. Un’ipotesi fa risalire Agnano ad Anguiniano e quindi al latino Angues, poiché il lago si diceva popolato da serpenti. Dal momento che nei pressi del bacino erano collocate delle terme chiamate Angulane, il letterato italiano Camillo Pellegrino nella sua opera Apparato alle antichità di Capua ovvero discorsi della Campania Felice, scritta nel 1651, ha attribuito ad esse l’origine del nome. Altri affermano che Agnano derivi da Agnisco, che in greco vuol dire purificare, riferendosi all’attività di maturazione del lino. La teoria più accreditata è quella ipotizzata nel 1874 da Giovanni Flechia, professore di lingue della Regia Università, e confermata poi nel 1931 da Raimondo Annecchino nel suo libro, ossia che Agnano derivi da Annianum, fondo di proprietà della nota famiglia Annia di Pozzuoli.

I fenomeni  naturali derivanti dall’attività vulcanica che si manifestavano nelle acque del bacino alimentavano la fantasia popolare. Un aneddoto racconta che i frati Gesuiti avevano architettato uno stratagemma per evitare che i questuanti Cappuccini sottraessero loro risorse del lago. Per cui quando i Cappuccini chiedevano in elemosina rane il pescatore doveva riferire di aver pescato solo tinche, quando i frati chiedevano tinche avrebbe dovuto dichiarare di avere solo rane. Nel caso in cui fossero state chieste tinche e rane avrebbero esibito un “mostro” con il corpo per metà tinca e per metà rana. La prova di tale miracolo divino fu smascherata a Milano, quando Antonio Vallinsieri affermò che l’esemplare consisteva semplicemente in un girino.

Fra Bagnuoli e Fuori grotta vi è alla mano sinistra la strada che conduce nel Lago di Agnano. Questo è di figura circolare e gira due miglia circa. Resta in fondo di un cratere che presenta la bocca di un antichissimo estinto vulcano. Alcuni hanno immaginato esservi stata una città. Palatino, 1826

Le credenze popolari non impedirono però lo sfruttamento del sito, e nel 1451 Alfonso I d’Aragona spostò l’attività di macerazione della canapa nel Lago di Agnano. Precedentemente tale attività era svolta nelle cosiddette parule, acquitrini che si formavano per azione delle acque meteoriche che dai versanti scaricavano direttamente nel golfo di Napoli. Le operazioni di macerazione rendevano però l’aria malsana e invivibile, fu per questo che si pensò di deputare il cratere di Agnano a questo scopo, così come era già stato fatto per il Lago Fusaro, liberando il centro della città dalle esalazioni maleodoranti. Le mannelle di canapa venivano così poste in prossimità della riva, affossate con delle pietre e lasciate macerare finché non raggiungevano la consistenza desiderata.

Agnano sulla sinistra l'area in cui era presente il lago (inizi XX sec.).

Agnano sulla sinistra l’area in cui era presente il lago (inizi XX sec.).


 
Inizialmente questo non causò problemi al lago, ne è testimonianza il banchetto ivi organizzato nel 1452 da re Alfonso per il matrimonio di sua nipote Eleonora con Federico III d’Asburgo. Successivamente però il problema dei miasmi si ripropose nell’area flegrea, rendendo l’aria irrespirabile soprattutto nella stagione estiva. Tra le testimonianze storiche sulla insalubrità della zona si ricorda la richiesta dei Padri Cappuccini del Convento di San Gennaro a Pozzuoli, che a causa del perdurare delle febbri malariche chiesero al Municipio una zona di terreno per edificare la sede della loro dimora estiva, costruita poi sulla collina dei Camaldoli.

Balneum Sudatorium (Stufe di San Germano).


 
L’attività di macerazione fu così abolita poiché si pensava fosse responsabile di problemi di salute pubblica. Nel 1861, fu approvato il decreto per il prosciugamento del Lago di Agnano, spostando l’attività di macerazione della canapa alla foce dei Regi Lagni.

I lavori di bonifica iniziarono nel 1865 e proseguirono fino al 1870 con il prosciugamento del bacino. L’intervento constò di due fasi: fu costruito un emissario che passando sotto il Monte Spina scaricava le acque del lago direttamente nel mare di Bagnoli, successivamente il fondo del bacino fu riempito per colmata, poiché la differenza di livello rispetto al piano dell’emissario non permetteva il deflusso delle acque.

La bonifica ebbe però un effetto secondario del tutto imprevisto: grazie al prosciugamento, infatti, furono portate alla luce decine di sorgenti termali che tappezzavano il fondo del lago e che ora, liberate dalle acque che avevano alimentato per centinaia di anni, sgorgavano e ribollivano nuovamente dal suolo. Tale episodio fu per anni trascurato, fin quando non si pensò di dare nuova vita alle strutture termali che in epoca romana erano così fiorenti.

Le terme di Agnano

Le terme di Agnano


 
Oggi le terme di Agnano sono una realtà a beneficio non solo degli abitanti dei Campi Flegrei, ma anche di una moltitudine di turisti, attratti dalla bellezza della struttura e dalla possibilità di fare un tuffo nel passato, ammirando i resti archeologici dei tempi antichi.

 

Bibliografia

  • Benedetto Di Falco, Descrittione dei luoghi antiqui di Napoli e del suo amenissimo distretto, Napoli, Giovanni Battista Cappelli, 1589.
  • Camillo Pellegrino, Apparato alle antichità di Capua overo discorsi della Campania Felice, Napoli, Francesco Savio, 1651.
  • Ferrante Loffredo, L’antichità di Pozzuolo et luoghi convicini, Napoli, Antonio Bulifon, 1675.
  • Giuseppe Fiore, Il Lago di Agnano: una realtà distrutta e dimenticata, Napoli, RCE multimedia, 2013.
  • Lorenzo Palatino, Storia di Pozzuoli e contorni con breve tratto istorico di Ercolano Pompei, Stabia e Pesto, Napoli, Luigi Nobile, 1826.
  • Oronzio Gabriele Costa, Fauna del regno di Napoli ossia enumerazione di tutti gli animali che abitano le diverse regioni di questo regno e le acque che le bagnano […] Pesci, Napoli, Francesco Azzolino, 1850.
  • Paolo Casoria, Implicazioni sociali della lavorazione della canapa tessile (Cannabis sativa L.) nel territorio di Napoli, Delphinoa, 48 (2006), pp. 61-70.
  • Raimondo Annecchino, Agnano l’origine del nome e del Lago, Napoli, Tipografia Unione, 1931.

Immagini

  • in testata: il lago di Agnano, dipinto di Oswald Achenbach (coll. priv.).
  • in evidenza: Il lago di Agnano



Il cratere verde

All’interno dell’area vulcanica dei Campi Flegrei si profila il cratere degli Astroni, che con i suoi 247 ettari rappresenta uno dei polmoni verdi della provincia di Napoli, oggi Riserva Naturale gestita dal WWF.

La storia degli Astroni si intreccia con il panorama faunistico flegreo. A partire dal nome, che potrebbe derivare da asturium, astore (Accipiter gentilis), la cui caccia era molto praticata (Mormile, 1617). Loffredo lo fa invece risalire al nome latino per indicare gli storni (Sturnus vulgaris), un tempo molto presenti nel territorio. Altre interpretazioni  hanno invece origine folcloristica e mitologica; come quella di Summonte, che lega il nome Astroni agli strioni o stregoni che, stando ad alcune credenze popolari, praticavano nel cratere i loro riti magici. De Lorenzo e Riva associano invece l’etimologia del nome a Sterope, un Ciclope che viveva in quest’area.

L’ipotesi più accreditata però è che Astroni derivi da strunis, una felce che vi cresceva spontanea, descritta anche da Plinio nella sua Naturalis Historia (Giustiniani, 1797).

La Riserva Naturale degli Astroni occupa il fondo del cratere e i versanti interni dell’omonimo edificio vulcanico, ubicato nel settore nord-occidentale della conca di Agnano, nel territorio del comune di Pozzuoli. La genesi del vulcano risale a circa 3700 anni fa, tra l’eruzione della Solfatara e quella del vulcano di Averno, secondo datazioni di tipo radiometrico.

Locus est Neapoli ad quatuor millia passuum proximus, quam vulgo Listrones vocant.Facio, 1769

L’area fu inizialmente sfruttata dai romani per le sue fonti termali; nel 1217 vi si recò anche Federico II per curarsi da una malattia. Nel sedicesimo secolo si assistette alla trasformazione in tenuta reale di caccia ad opera di Alfonso I d’Aragona, che vi introdusse cinghiali (Sus scrofa), daini (Dama dama) e cervi (Cervus elaphus), recintando il periplo con le mura che ancora oggi si conservano sul bordo del cratere. Da allora, fino agli inizi dell’800, fu gestito come riserva reale di caccia.

Cacciatori con cani corso

Cacciatori con cani corso (Caccia di Ferdinando IV nel cratere degli Astroni, Philipp Hackert, olio su tela, particolare).


 
Per un breve periodo, dal 1698 al 1739, la tenuta fu di proprietà di privati; prima fu comprata da Giuseppe Antonio De Marino, che eliminò gran parte della vegetazione arborea per disporre di terreno coltivabile, poi fu ceduta dall’erede di quest’ultimo al Collegio dei P.P. Gesuiti. Carlo III di Borbone se ne riappropriò, trovandola però in grave stato di abbandono; tra il 1749 e il 1750 furono quindi condotti importanti lavori di restauro che interessarono il muro di cinta e la vaccheria, terminati i quali il sito fu ripopolato di flora e fauna.

È celebre tal sito per le feste datevi d’Alfonso d’Aragona nel 1452 in occasione di aver maritata Eleonora sua nipote con Federico III Imperadore. D’Ancora, 1792

Fu Ferdinando II il primo ad aprirlo al pubblico, nel 1830. Con la caduta del Regno delle Due Sicilie passò ai Savoia e subì una dubbia gestione forestale, con ampi tagli e introduzione di specie arboree estranee alla flora locale. All’inizio del Novecento il nuovo sovrano Vittorio Emanuele III ritenne troppo oneroso per le casse della Casa Reale continuare a sostenere le spese per la gestione e la manutenzione della tenuta, così nel 1919 gli Astroni, assieme ai beni demaniali in uso alla Corona, passarono a far parte dell’Opera Nazionale Combattenti. L’Ente sottopose l’area ad un forte sfruttamento agricolo.

Durante la Seconda Guerra Mondiale e negli anni del dopoguerra il sito fu occupato dalle truppe alleate e dai civili che fuggivano dai bombardamenti.

Un’antilope alcina (Taurotragus orix) nel viale della tenuta

Un’antilope alcina (Taurotragus orix) nel viale della tenuta.

All’inizio degli anni ’70 la tenuta fu affittata all’Amministrazione Provinciale di Napoli che durante la gestione consentì al Giardino Zoologico l’immissione di animali esotici, soprattutto ungulati, con l’intento di realizzare un parco faunistico. L’Amministrazione ricavò grossi introiti cedendo alcune aree degli Astroni ad altre attività quali lo sfruttamento boschivo e l’allevamento di lepri e fagiani. Questa gestione sconsiderata, affiancata all’accesso incontrollato delle autovetture, portò a notevoli cambiamenti della vegetazione.

Il cratere fu chiuso in seguito al terremoto degli anni ’80 per motivi di sicurezza e passò, con l’abolizione dell’Opera Nazionale Combattenti, alla Regione Campania. Nel 1987 il Ministero dell’Ambiente promulgò una legge statale che istituì il vincolo di Riserva Naturale dello Stato degli Astroni e ne affidò la gestione al WWF, che aprì l’Oasi al pubblico nel 1992.

Mezzo miglio distante dal lago di Agnano vi sono gli Astruni; luogo delizioso da caccia Reale […]. Nel bosco vi pascolano cinghali, cervi e ogni sorta di volatili.Palatino, 1826

L’area conserva un mosaico ambientale di notevole complessità e una composizione floristica che è il risultato di un particolare fenomeno denominato inversione vegetazionale.

Tale fenomeno, imputabile alle particolari condizioni microclimatiche create dalla presenza dei tre piccoli laghi e dalla conformazione dello stesso cratere, fa si che si instaurino temperature meno elevate sul fondo, dove si hanno ristagni di aria umida e fredda, mentre spostandosi verso l’alto lungo le pendici la temperatura aumenta e l’umidità diminuisce.

Di conseguenza la disposizione delle specie arboree è invertita rispetto all’altitudine: la foresta di leccio e la macchia mediterranea, composta da erica, mirto e lentisco, si trovano in alto, sui bordi del cratere, mentre sul fondo, a pochi metri sul livello del mare, sopravvivono specie mesofile di quota più elevata, quali castagno, farnia, rovere e olmo.

La notevole diversità ambientale presente nell’Oasi ha consentito l’instaurarsi di un’altrettanto varia comunità animale.

Numerosa e diversificata la comunità ornitica, con specie boschive come il picchio rosso maggiore (Dendrocopus major ) scelto come simbolo dell’Oasi, ma anche rapaci, come il falco pellegrino che vi nidifica.

Si trovano poi svariati anfibi associati alla zona lacustre, che possono godere di un altrettanto eterogeneo gruppo di invertebrati di cui nutrirsi. Numerosi i lepidotteri, due specie dei quali esclusive degli Astroni.

La mammalofauna risente invece della limitata estensione della Riserva e della forte antropizzazione delle aree circostanti, il più delle quali adibite a vigneti; ciononostante è possibile trovare volpi (Vulpes vulpes), mustelidi e numerosi roditori.

Accanto alla fauna locale si accompagnano interventi di introduzione, come quello che ha interessato nel 1998 l’immissione nel Lago Grande della moretta tabaccata (Aythya nyroca), i cui individui possono essere osservati ancora oggi.

Nonostante il suo burrascoso passato e lo stato non ottimale in cui verte attualmente, gli Astroni rappresentano tutt’ora un importante anello di congiunzione tra la comunità partenopea e la dimensione naturalistica del territorio.
 

Bibliografia

  • Gaetano D’Ancora, Guida ragionata per le antichità e per le curiosità naturali di Pozzuoli e de’ luoghi circonvicini, Napoli, Onofrio Zambraia, 1792.
  • Giuseppe De Lorenzo e Carlo Riva, Il cratere di Astroni nei Campi Flegrei, Napoli, tipografia della Real Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche, 1902.
  • Bartolomeo Facio, De rebus gestis ad Alfonso Primo, Napoli, Joannis Gravier, 1769.
  • Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, Volume II, Napoli, Vincenzo Manfredi, 1797.
  • Ferrante Loffredo, L’antichità di Pozzuolo et luoghi convicini, Napoli, Antonio Bulifon, 1675.
  • Giuseppe Mormile, Descrittione dell’amenissimo distretto della città di Napoli, et dell’antichità della città di Pozzuolo, Napoli, Tarquinio Longo, 1617.
  • Lorenzo Palatino, Storia di Pozzuoli e contorni, Napoli, Luigi Nobile, 1826.
  • Giovanni Antonio Summonte, Historia della città e regno di Napoli, Napoli, Raffello Gessari, 1749.

 

Immagini

  • in testata: Michael Wutky, La tenuta degli Astroni (olio su tela 50×64 – Vienna, Gemäldegaleric der Akademie der bildenden Künste).
  • in evidenza: il lago di Licola (Carta geografica N° 14 Napoli, Ischia, Procida – Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, 1794).



Un messicano a Napoli

Oggigiorno l’introduzione di specie aliene è uno degli argomenti più “caldi” e fervidamente dibattuti in ambito biologico. Appare infatti immediato, senza prendere posizione in merito, constatare come l’immissione di un organismo esotico possa comportare squilibri a volte sostanziali della flora e della fauna autoctone.
La pratica di importare specie estranee al territorio è in realtà ben radicata nel tempo; ne è testimonianza il tentativo di naturalizzazione dell’axolotl a Napoli nel XIX secolo.
L’axolotl, nome comune di Ambystoma mexicanum, è un anfibio dell’ordine Caudata originario del Messico; per la precisione la sua area di distribuzione è confinata al Lago di Xochimilco, vicino Città del Messico, e ai canali attigui. Particolarità della specie è la neotenia, per cui l’individuo raggiunge la maturità sessuale conservando alcuni caratteri larvali, come le branchie esterne. Difficilmente la forma neotenica può effettuare spontaneamente la metamorfosi, ma questa può essere indotta da un cambiamento ambientale o attraverso trattamenti ormonali (es. iniezioni di tiroxina).

Axolotl (foto di Chatoune Belmonte, da fr.wikipedia.org/wiki/Axolotl)

Axolotl (foto di Chatoune Belmonte, da fr.wikipedia.org/wiki/Axolotl)


 
I primi studi sugli axolotl risalgono a quando sei esemplari selvatici (cinque maschi e una femmina) furono trasportati da Città del Messico al Jardin des Plantes di Parigi nel 1864 e lì fatti riprodurre. Il professor Auguste Dumeril, colpito dalla inaspettata trasformazione di alcuni esemplari nella forma adulta, ne accertò la neotenia. Successivamente sei coppie di axolotl della collezione parigina furono donate al Professor Alessandro Kowalewsky dell’Università di Kazan che le portò a Napoli.
L’eccezionale successo riproduttivo degli esemplari fece sì che il Professor Paolo Panceri ipotizzasse un intervento di naturalizzazione.
Nel marzo del 1868, ben 350 larve di axolotl furono distribuite nei laghetti del Real Orto botanico, mentre altre 300 larve furono spartite tra il Lago di Agnano, oggi prosciugato, e il Lago d’Averno. L’esperimento nei due laghi flegrei non ebbe seguito, al contrario nell’Orto furono registrate la riproduzione e la crescita degli esemplari, che superarono sorprendentemente le rigide temperature invernali nelle vasche.

Lago di Agnano

Il Lago di Agnano (particolare della Carta geografica N° 14 Napoli, Ischia, Procida – Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, 1794).


 
Panceri riferisce anche di una metamorfosi di alcuni individui nello stadio adulto.

Fra gli undici individui, uno incominciò ai primi di ottobre a mostrarsi con macchie giallicce agli arti ed a rifiutare l’alimento; le branchie mano mano si atrofizzarono, le macchie andarono crescendo, scomparvero le creste del dorso e della coda ed ecco, come le presentò, un Amblystoma simile a quelli ottenuti dal ch. Duméril.Panceri 1869b.

Forte di questo successo, nel maggio del 1912 Francesco Saverio Monticelli professore di zoologia e direttore dell’Istituto zoologico dell’Università di Napoli, tentò un nuovo intervento di introduzione della specie. Tra i motivi di questa scelta va considerato sicuramente l’interesse scientifico nei confronti di un animale così inusuale, ma non bisogna trascurare anche l’intenzione di attuare una lotta biologica contro le zanzare, responsabili della malaria. Gli axolotl sembravano infatti prediligere le larve di cuculidi come fonte di alimentazione. Fu scelto come sito dell’esperimento il lago craterico degli Astroni, ideale sia per la natura stagnante e poco profonda delle acque sia per una maggiore comodità nel campionamento. Il primo tentativo di naturalizzazione non ebbe i risultati sperati, in quanto non si trovò traccia delle larve liberate nel bacino. Monticelli dunque provò una nuova immissione nel giugno del 1913 includendo gli esemplari in una nassa di ferro zincata a maglie strette; la rete avrebbe difeso le larve da eventuali predatori ma non avrebbe impedito il passaggio di microfauna di cui nutrirsi. Con questo espediente alcuni axolotl sopravvissero e crebbero in dimensioni, ma la riuscita fu di breve durata in quanto gli animali non superarono l’inverno.

Si presume che l’intervento di naturalizzazione della specie fu abbandonato poichè non sono pervenute ulteriori notizie in merito; Monticelli continuò d’altronde a servirsi dell’area degli Astroni per studiarne la composizione faunistica.

 

Bibliografia

  • Francesco Saverio Monticelli, Per una possibile naturalizzazione di axolotl nelle nostre acque dolci, «Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli», 1913.
  • Francesco Saverio Monticelli, Notizie intorno agli axolotl dell’Istituto Zoologico della R. Università di Napoli, «Rendiconto Real Accademia Scienze fisiche matematiche», 1913.
  • Paolo Panceri, Gli Axolotl recati per la prima volta in Napoli, «Rendiconto Real Accademia Scienze fisiche matematiche», 1868.
  • Paolo Panceri, Intorno agli Axolotl cresciuti nel R. Orto Botanico, «Rendiconto Real Accademia Scienze fisiche matematiche», 1869a.
  • Paolo Panceri Nota intorno agli Axolotl che fa seguito all’altra pubblicata nel Rendiconto del Settembre scorso, «Rendiconto Real Accademia Scienze fisiche matematiche», 1869b.

 

Sitografia

  • The IUCN Red List of Threatened Species – www.iucnredlist.org/details/1095/0

 

Immagini

  • in testata: Codice borbonico (pag. 19), manoscritto messicano risalente al 1562 o 1563 (Bibliothèque du palais bourbon).
  • in evidenza: Axolotl (Ambystoma mexicanum) e salamandra tigre (Ambystoma tigrinum). Illustrazione tratta da Soviet encyclopedia (1926).