Bombyx mori è il bombice del gelso, o baco da seta, insetto lepidottero della famiglia Bombicidae la cui larva produce uno dei tessuti più preziosi e noti al mondo: «Dalla semmenta nascono gli agnulille che nel momento in cui diverranno crisalidi produrranno il famoso bozzolo che serve alla produzione della seta» (Soppelsa, 2016).
La sua scoperta risale al XXVIII sec. a.C., quando un’imperatrice cinese fu attratta da questo bruco intento a tessere un bozzolo con estrema cura. Ella notò la preziosità di quel filato e ne diffuse immediatamente la produzione. Sin dall’epoca cristiana del Sacro Romano Impero e per molti secoli a venire, questo tessuto ha viaggiato lungo la nota Via della seta senza che si conoscesse la sua vera origine.

Parecchie specie allo stato di larva segregano una sostanza bianca come cotonosa, entro la quale rimangono occultate. (Costa A., 1863)

L’allevamento del baco da seta si indica con il termine bachicoltura, letteralmente ‘coltura del baco’, o sericoltura, che deriva dal latino sericus ‘seta’, da cui sericarius ‘lavoratore della seta’. Da sericus deriva anche ‘sericite’, un minerale molto diffuso in oriente, di lucentezza pari a quella della seta.
A partire dalla schiusa dell’uovo e durante le fasi larvali il baco si alimenta con grandi quantità di foglie fresche di gelso, generalmente gelso rosso (Morus nigra) e gelso bianco (Morus alba).

Ve ne sono di quelli che hanno tre, altri quattro di tali trasformazioni, dette mute o dormite. Il filugello che ne ha tre dicesi terzino quello che ha quattro, quartino: nel dialetto terzigno e quartigno.(De Ritis, 1845)

In queste fasi, il baco rimane pressoché immobile spende ogni sua energia per alimentarsi, che dà come risultato un considerevole sviluppo: dai tre millimetri del bacolino fino ai nove centimetri! La larva di ultimo stadio in pochi giorni si impupa cercando un substrato adatto a sostenere il suo bozzolo, solitamente ottenuto mediante ramoscelli secchi; da qui l’espressione “salire al bosco” attribuita alla fase del suo ciclo vitale precedente a quella della formazione della crisalide. Tramite una coppia di ghiandole, la larva produce un secreto molto sottile che solidifica a contatto con l’aria e che, guidato da movimenti ad otto della testa, costituisce il bozzolo, formato da un unico filo di seta lungo tra i 300 e i 900m. Dopo tre o quattro giorni il bozzolo è pronto e la larva inizia a trasformarsi in crisalide. Se la metamorfosi arriva a termine, la falena adulta secernerà un liquido con lo scopo di uscire dal bozzolo che ne risulterà gravemente danneggiato. Per tale motivo l’allevatore deve interrompere il ciclo vitale dell’insetto prima che la metamorfosi sia completa.
La falena adulta non si nutre e non è in grado di volare; in questa breve fase del ciclo vitale il suo unico scopo è la riproduzione. La femmina, dal corpo più grande e tozzo resta immobile in attesa del maschio, più piccolo e snello, che cammina agitando energicamente le ali. Il giorno successivo all’accoppiamento generalmente avviene la deposizione che consta di 300÷500 uova.

È cura dell’allevatore far completare la metamorfosi ad alcuni individui in modo da provvedere all’accoppiamento e quindi alla deposizione delle uova che inizieranno un nuovo ciclo.
Il baco allevato ai giorni nostri è da considerarsi il frutto di migliaia di anni di selezione (soprattutto artificiale) per cui non è in grado di sopravvivere allo stato selvatico.

La bachicoltura si diffuse inizialmente in Cina, uno dei maggiori produttori della storia della seta, poi in tutto l’Oriente. L’introduzione in Europa si deve a due monaci dell’ordine di san Basilio, i quali, di ritorno da una missione in Oriente datata 551 d.C., si presentarono all’imperatore Giustiniano e gli narrarono di aver visto che la seta è prodotta da animali e di aver appreso il modo per allevarli. Persuasi dall’imperatore, tornarono sui luoghi della spedizione e portarono a Bisanzio le uova del baco da seta, nascoste nel cavo dei loro bastoni di bambù. Queste uova diedero inizio alla pratica della bachicoltura in Europa: da Costantinopoli si diffuse poi in Grecia e, da qui, in Italia.

Jan Van der Straet - Ser, sive sericus vermis (incisione a bulino, Anversa, ca. 1590).

Jan Van der Straet – Ser, sive sericus vermis (incisione a bulino, Anversa, ca. 1590).


 
Nella prima metà del XII sec. l’Italia era la maggior produttrice europea di seta. La bachicoltura si affiancava spesso alle attività agricole ed ebbe un grande sviluppo durante la rivoluzione industriale, in particolare nel Nord Italia dov’erano molto diffuse le filande. L’allevamento si svolgeva nelle case dei contadini e le stanze adibite a questo scopo avevano numerose aperture sulle porte o sotto le finestre stesse per garantire l’aerazione ideale. Per contenere i bachi, si costruivano graticci o intelaiature in legno con fondo in canne o tela, sovrapponibili in modo da risparmiare spazio. Nel Regno di Napoli, le uova del baco dovevano essere sottoposte a determinate usanze: «s’avvolgono in pezzette bianche di lino, e si pongono nel petto delle Donne giovani, o pure tra due capezzali di piume scaldati al fuoco: questo si fà, quando cominciano a spuntare le cime tenere delle foglie de’ Mori Celsi in tempo di Primavera, e che la Luna abbia cinque, o sette giorni di aumento, il che suol essere circa li 25 d’Aprile» (Donzelli, 1704).

Donne che si collocano tra i seni i bozzoli avvolti in tele di lino (Ian Van der Straet - Aspersa vino tersaq ova vermium)

Donne che si collocano tra i seni i bozzoli avvolti in tele di lino (Ian Van der Straet, particolare)


 
La Sicilia era uno dei centri più fiorenti nella produzione di seta ancora ai tempi di Federico II, arte che fu ben presto trasmessa in Calabria sin dalla prima metà del sec. XI.
Fu nel XIII secolo che la Calabria ottenne il primato nazionale nell’industria serica, in particolare grazie alle comunità ebree di Catanzaro, Cosenza e Reggio, che fecero dell’allevamento del filugello la loro attività predominante, tanto che: «Anchora in Calabria se la superfluità non lo vetasse, e la commune humiltà lo permettesse, senza l’uso della lana, tutti potrebbono vestire sontuosamente di seta, perchè ogn’uno per povero ch’egli sia, fà in ogni anno nella propria casa tanta seta, che potrebbe commodamente vestire; non dimeno perchè la conditione non lo permette le preciosissime sete di Calabria sono trasportate per l’uso delle mercanti e in quasi tutte le parti del mondo» (Dito, 1967).
La produzione calabrese rimase fiorente per alcuni secoli ma dalla prima metà del XVII secolo subì un arresto a causa del costante aumento dei dazi. Questo sistema impedì ogni progresso dell’arte e, mentre nel resto d’Italia (Toscana, Emilia, Lombardia e specialmente Piemonte) progrediva di giorno in giorno, in Calabria rimase allo stadio iniziale e le sete calabresi persero valore. Il governo borbonico tentò di riportare l’industria agli antichi splendori, ma era ormai impossibile sostenere la concorrenza delle sete straniere.

Importantissimo fu il contributo di Napoli: ancora oggi i nomi di alcune strade testimoniano quanto fosse diffusa la bachicoltura, in particolare nelle zone di San Martino e Montesanto, dove si trovavano piantagioni di gelsi bianchi, scenario ideale per l’allevamento dell’agnolillo. Probabilmente l’arte della seta giunse a Napoli durante il dominio aragonese, intorno al 1458, e raggiunse un livello industriale in epoca borbonica con la fondazione del setificio di San Leucio nel 1789. La seta di produzione napoletana era tra le più apprezzate per leggerezza, purezza e colore contendendosi il primato con quella piemontese (Soppelsa, 2016), tanto che «Le semenze [uova] più lodate sono quelle di Spagna, e del Regno di Napoli» (Donzelli, 1726).

In seguito, i napoletani trovarono un’altra applicazione della seta: iniziarono a produrre i fili da pesca noti come “peli da pesca” o “crine di Firenze”, ottenuti modificando le ghiandole della seta prelevate dai bachi maturi (Soppelsa, 2016).

Dopo il picco massimo del XVIII secolo, la produzione di seta in Italia cominciò a calare nel periodo tra le due guerre per scomparire totalmente negli anni Cinquanta, sia a causa dell’industrializzazione e della diffusione delle fibre sintetiche sia a causa della concorrenza estera, in particolare della Cina che ancora oggi è il maggior produttore mondiale.

Il baco da seta funge anche da rimedio nella medicina tradizionale cinese, in forma di “baco da seta rigido”: si tratta del corpo calcificato della larva della quarta o quinta età, morta di calcino, una malattia dovuta all’infezione causata dal fungo Beauveria bassiana. Il baco calcificato si utilizza per risolvere problemi al ventre e di digestione come aerofagia, mal di pancia e sonnolenza.

Oggi la bachicoltura in Italia è quasi scomparsa, poche aziende allevano bachi per una piccola produzione artigianale di nicchia o a scopo didattico. Degna di segnalazione è la “Sezione specializzata per la bachicoltura” di Padova.

Bibliografia

  • Achille Costa, Lezioni di zoologia accomodate principalmente ad uso dei medici, Napoli, Antonio Cons, 1863.
  • Oronzio Gabriele Costa, Francesco Briganti, Achille Costa, Relazioni intorno alla malattia dominata ne’ bachi da seta nell’està del 1858 in risposta al programma nel dì 8 aprile 1858, Napoli, Tip. R. Ghio, 1859 («Real Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze Naturali»).
  • Lucio D’Alessandro, San Leucio: l’utopia di un re tra gestione degli spazi e contraddizione dei tempi, 2009.
  • Oreste Dito, La storia calabrese e la dimora degli ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI, Cosenza, editrice Casa del Libro, 1967.
  • Giuseppe e Tommaso Donzelli, Giovan Giacomo Rogieri, Teatro farmaceutico, dogmatico e spagirico del dottore Giuseppe Donzelli, Napoli, Felice Cesaretti, 1726.
  • Ferdinando I, Origine della popolazione di San Leucio e i suoi progressi fino al giorno d’oggi colle leggi corrispondenti al buon governo di essa Ferdinando IV, re delle Sicilie, Napoli, Stamperia Reale, 1789.
  • Samuele Pasquali, Sullo allevamento de’ bachi da seta a cielo scoverto, Atti del Real Istituto d’incoraggiamento alle Scienze Naturali di Napoli (tomo V), Tipografia di Francesco Fernandes, Napoli, 1834.
  • Vincenzo de Ritis, Vocabolario napoletano lessigrafico e storico, 2 voll., Napoli Stamperia Reale, 1845-1851.
  • Ottavio Soppelsa, Dizionario Zoologico Napoletano, Napoli, D’Auria, 2016.

 

Sitografia

  • http://museodellaseta.com/index.html

 

Immagini

  • in testata: adulto della falena del baco da seta (foto di CSIRO, Wikipedia)
  • in evidenza: bozzoli di Bombyx mori (foto di Biswarup Ganguly, Wikipedia)