’A mammana Miella Lucia D’Aponte con alla sua sinistra Flavio di Martino, Sindaco di Castellammare di Stabia negli anni ’70, e la moglie Virginia.

Ai primi del ‘900, Lucia D’Aponte, che ebbe tra i suoi maestri anche il dottor Giuseppe Moscati, si diplomò a Napoli al Regio Collegio delle Ostetriche. Esercitò in tempi diversi dai nostri, quando si nasceva in casa con l’aiuto dell’ostetrica e delle donne di famiglia. Erano loro a tagliare il cordone ombelicale ai nuovi nati e a occuparsi delle tante incombenze del parto. Lucia D’Aponte, conosciuta da tutti come ’a mammana Miella, sapeva cosa fare e cosa raccontare per alleggerire il travaglio. All’inizio del secolo, la medicina popolare aveva ancora bisogno dell’aiuto dei Santi: l’olio di sant’Antonio, il fazzoletto di san Gerardo, la reliquia di santa Rita… nella borsa della mammana, insieme al forcipe per tirare fuori un bambino troppo grosso, c’erano i segni di presenze amiche, invocate nei momenti più laboriosi del parto. Se un bambino nasceva già morto, l’ostetrica lo battezzava veloce per assicurargli almeno il Cielo, lei che non gli aveva potuto assicurare la terra. Una notte, ’a mammana fu chiamata per un parto difficile, chiamarono lei perché «nisciuno criatuto po’ mai muri’ c’ ’a mammana Miella» (nessun bambino rischia di morire con la mammana Miella). Le mani esperte della mammana fecero nascere un bambino molto prematuro, tanto piccolo che ’a Miella lo avvolse in una camicina di ovatta, lo depose in una scatola di scarpe, e mormorò: «mo’ aspettammo ’o vulere e Dio» (adesso attendiamo il volere di Dio). Pianse di gioia insieme alla mamma quando si accorse che ’a creatura (il neonato) iniziò piano a riprendere colore. Esercitò durante la guerra e fece nascere molti bimbi già orfani alle cui madri lasciava, sotto al cuscino, di che pagare il farmacista e comprarsi una fetta di carne, diceva che era il modo migliore per fare latte. Aiutò molte donne che partorirono senza avere marito e invocò i Santi anche per loro: «santo Nicola, vottalo fore! San Vincenzo ’ra Carità, lascia e muonace e viene ccà» (san Nicola, fallo nascere! San Vincenzo della Carità, lascia i monaci e vieni qua). Dopo averne tutelato la vita e la salute, capitò che dovesse tutelarne l’onore ed il futuro: portava il bambino all’Annunziata, e “ricuciva” la giovane madre così da regalare a futuri mariti la convinzione di essere i primi. La mammana asciugò lacrime e diede consigli, ma non giudicò mai, perché sapeva che il peccato era figlio della guerra. Una sera, ’a Miella fu ostetrica e nonna insieme: nasceva suo nipote, e con l’altra nonna, Carulina ’a gravunara, (Carolina, venditrice di carbone) assisteva sua figlia Anna che partoriva. Quel parto non fu difficile, ma nonna Carolina era ancora in lutto per la morte di suo marito, nonno Nicola, detto ’o surdo (il sordo), perché come quasi tutti gli operai dei cantieri navali di Castellammare, aveva perso l’udito per il troppo rumore ed era morto giovane per le troppe vernici inalate. Quella notte nacque ’na femmenella (una bambina), e ’a mammana Miella la mostrò compiaciuta all’altra nonna, dicendo «è nata Carulina», ma Carulina ’a gravunara non volle quel nome: «cummà, vulesse campà n’atu ppoco» (comara, vorrei virere ancora). Nonno Nicola aveva fatto in tempo a conoscere il nipotino Nicola, e aveva mormorato: «nasce Nicola, more Nicola». E così era stato. Così, quella notte, la mammana guadagnò una nipotina di nome Lucia, e ci furono ancora preghiere e raccomandazioni: «ova a zuppetella co’ ’e cepolle e ’a birra, pe’ fa’ scennere ’o latte» (zuppa di uova con cipolle e birra, per fare latte).