La caccia è un’attività che ha radici preistoriche, compagna dell’uomo fin dagli albori della specie. In passato essa ha rappresentato una fonte primaria di sostentamento per l’uomo durante la condizione di cacciatore-raccoglitore; l’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento non ha comunque inficiato la sua importanza, in quanto fonte di proteine aggiuntive e materiali utili, quali ossa, pellicce o penne. Con il passare del tempo questa pratica ha acquistato anche un significato sociale, svolta professionalmente o a scopo ricreativo, prerogativa delle classi sociali più elevate. In gran parte dell’Europa medievale aristocrazia e clero godevano del diritto esclusivo di cacciare (e a volte pescare) in zone esclusive del territorio feudale. Ne è un esempio la vicina riserva degli Astroni, che per lunghi anni è stata riserva di caccia reale.
Tra gli animali usati dall’uomo per l’addestramento alla caccia i cani sono stati i più importanti e diffusi. Col tempo, affinandone le predisposizioni naturali, sono stati selezionati cani con caratteristiche specifiche per i differenti tipi di caccia condotti dall’uomo. L’utilizzo dei cani è fattore quasi indispensabile in svariati tipi di caccia.
Tra i più celebri si ricorda la caccia al cervo. Occorre fare una precisazione poiché quando si parla di caccia al cervo ci si riferisce in realtà alla famiglia Cervidae, di cui fanno parte anche caprioli e daini, e non esclusivamente alla specie Cervus elaphus, comunemente chiamato cervo nobile.

La pratica della caccia al cervo risale al Paleolitico, a partire dal quale veniva cacciato per la sua carne e per i suoi palchi. Complice di ciò anche la presenza particolarmente numerosa della specie, diffusa in tutte le foreste d’Europa fin dalla preistoria. Il cervo figura anche come uno dei soggetti ricorrenti nella pittura rupestre.

Fino al XIV secolo nella caccia al cervo si adoperava l’arco, poiché era l’unica arma da tiro in circolazione. Non era facile abbattere un animale di tali dimensioni, ma gli archi, realizzati con legno di tasso o nocciolo, erano dotati di una lunga gittata ed erano dunque molto potenti; il successo del loro uso dipendeva, oltre che dalla precisione del tiro, dall’abilità dei tiratori e dalle caratteristiche tecniche che determinavano il livello di penetrazione della freccia. Generalmente obiettivo dell’arciere era ferire il cervo in modo da poter essere più facilmente inseguito; braccato ed estenuato, l’animale era raggiunto dai cacciatori che lo finivano.

Caccia al cervo con l'arco (Jan van der Straet, Venationes ferarum, avium, piscium, pugnae bestiariorum et mutuae bestiarum [...], Anversa, Philippe Galle, 1602).

Caccia al cervo con l’arco (Jan van der Straet, Venationes ferarum, avium, piscium, pugnae bestiariorum et mutuae bestiarum […], Anversa, Philippe Galle, 1602).


 
Le battute di maggior successo erano quelle che si svolgevano durante la stagione degli amori quando era possibile trovare i cervi grazie al loro bramito ed era anche più facile avvicinarli rispetto ad altri periodi dell’anno.

Il cervo non è un corridore resistente ma un buon velocista per cui si ricorreva alla caccia denominata alla corsa o all’inseguimento, una caccia a cavallo, destinata dunque solo ai cavalieri. Una muta di cani era sguinzagliata contro la preda con il compito di estenuarla, mentre la cavalleria seguiva la scena e prendeva parte all’uccisione con l’ausilio di frecce o lance. La caccia alla corsa fu l’esercizio venatorio dei re e dell’alta aristocrazia. I cronisti medievali testimoniano che il tutto si articolava in otto fasi:

  • la cerca, affidata ad un cercatore di piste incaricato di scovare il punto esatto della boscaglia nel quale il cervo si trova;
  • l’assemblea dei cacciatori, che valutava le informazioni fornite dal battitore ed elaborava la strategia da seguirsi per la caccia;
  • la posta, durante la quale i cani venivano portati il più vicino possibile alla preda;
  • la mossa, quando il cercatore di tracce trovava il segno fresco della preda per i cani;
  • la corsa, quando il branco dei cani inseguiva il cervo per fiaccarlo;
  • il latrato, quando il cervo, ormai troppo debole per correre, si gira ed affronta i cani quale extrema ratio, a questo punto il branco viene richiamato dopodiché uno dei cacciatori, smonta e finisce l’animale;
  • lo smembramento;
  • la curée, quando i cani vengono ricompensati del loro apporto alla caccia con pezzi freschi della carcassa, affinché ricordassero il sapore del premio.

Frans Snijders e Jan Wildens, caccia al cervo (Royal Museums of Fine Arts of Belgium - foto di Sailko, wikipedia).

Frans Snijders e Jan Wildens, caccia al cervo (Royal Museums of Fine Arts of Belgium – foto di Sailko, wikipedia).


 
In lingua inglese il vocabolo bay, latrato, indica anche la condizione di chi è spalle al muro; ancora oggi è in uso il costrutto to bring a deer to bay, ridurre agli estremi un cervo.

Si poteva adoperare anche un’altra tipologia di caccia al cervo, più lenta, che prevedeva di avvicinarsi il più possibile all’animale stando in sella al cavallo (la cui presenza, come quella degli altri quadrupedi, non spaventava il cervo) e di scoccargli poi contro le frecce.

Durante il XIV secolo in Europa si incominciò ad utilizzare la balestra. La maggior forza di penetrazione e l’uso di munizioni più corte, con cui si aveva una mira facilitata, rendeva il suo uso più vantaggioso dell’arco. Per un tiro di successo non c’era bisogno di tanta forza fisica né di particolari capacità, questo faceva sì che la balestra potesse avere un bacino di utenza maggiore. Per quanto riguarda la tecnica di caccia, la balestra, pur portando dei miglioramenti, non comportò significativi cambiamenti. Era sempre necessario avvicinarsi alla preda, colpirla con le frecce delle balestre e cercare gli esemplari feriti con i cani per poi abbatterli con le armi a mano.

Nel XIV secolo sorgono numerose riserve di caccia, che avevano il duplice vantaggio di aumentare la popolazione di selvaggina e rendere più agevole l’esercizio della caccia. L’allevamento degli animali nelle riserve, inoltre, consentiva di organizzare battute di caccia in ogni stagione dell’anno a seconda delle necessità. La riserva non era semplicemente uno spazio recintato, ma un ambiente accuratamente gestito: venivano fornite le risorse per la sopravvivenza degli animali, soprattutto nei periodi invernali, e venivano predisposte delle camere per il pernottamento del sovrano e dei suoi ospiti. La caccia era per il signore l’occasione di dispiegare abilità, coraggio, magnificenza, e con il banchetto finale, ospitalità e generosità; quindi quest’attività si traduceva in una manifestazione della potenza del signore.

Nonostante il XV secolo vide l’avvento delle prime armi da fuoco, la balestra costituì ancora a lungo l’arma preferita per la caccia al cervo; i fucili infatti erano molto più costosi e meno agevoli da portare, in particolare bisognava prestare attenzione che la polvere da sparo non si bagnasse, risultando poi inutilizzabile. Il perfezionamento di queste armi incentivò negli anni successivi il loro utilizzo anche in campo venatorio.

Caccia al cervo con armi da fuoco (Jan van der Straet, Venationes ferarum, avium, piscium, pugnae bestiariorum et mutuae bestiarum [...], Anversa, Philippe Galle, 1602).

Caccia al cervo con armi da fuoco (Jan van der Straet, Venationes ferarum, avium, piscium, pugnae bestiariorum et mutuae bestiarum […], Anversa, Philippe Galle, 1602).


 
C’è da dire che la caccia al cervo prescindeva dal semplice diletto ed era arricchita di significati sociali e addirittura religiosi. Il cervo era il simbolo del Cristo e molto presente nella mitologia cristiana. Di fronte al problema della risonanza negativa delle corna, elemento simbolico connotante il diabolico, la Chiesa adottò una soluzione principalmente terminologica: le fonti ecclesiastiche scelsero di chiamare “rami” le corna del cervo e “corna” le zanne del cinghiale, visto effettivamente come simbolo del demonio.

In Italia, al giorno d’oggi, la caccia al cervo è esclusivamente selettiva (tranne che in Friuli Venezia Giulia) e consentita solo nelle due forme alla cerca e all’aspetto; entrambe le tipologie prevedono l’azione del solo cacciatore, che nel primo caso si apposta in attesa della preda, nel secondo si muove nelle zone da essa frequentate. È vietato l’uso dei cani da seguita. L’unico caso in cui viene impiegato un ausiliare, costituito dal cane da traccia o da sangue, è durante le operazioni di recupero dell’animale selvatico ferito.

 

Bibliografia

  • Archeologia medievale. Problemi di storia dell’alimentazione nell’Italia medievale, VIII. All’insegna del giglio-CLUSF, 1981
  • Guido Alfani, Matteo Di Tullio, Luca Mocarelli. Storia economica e ambiente italiano. Franco Angeli, 2012
  • Terra e uomini nel Mezzogiorno normanno svevo, atti delle settime giornata normanno sveve, Università degli Studi di Bari, edizioni Dedalo, Bari 1985

 

Immagini

  • in testata: Paolo Uccello Caccia notturna (Oxford, Ashmolean Museum, 1470 ca.)
  • in evidenza: Caccia al cervo (Jan van der Straet, Venationes ferarum, avium, piscium, pugnae bestiariorum et mutuae bestiarum […], Anversa, Philippe Galle, 1602).